Nomi totemici del lupo
Francesco Benozzo
Come ricorda Zelenin in un articolo fondamentale tradotto dalla rivista Quaderni di Semantica, i Serbi danno alle volte al bambino il nome del lupo.
Tale usanza corrisponde a un invito all’animale a divenire il padrino.
Jasna Belovié informa che i nomi cari ai Serbi Vuka, Vukica, Vokoslava, Vukac (cioè ‘lupo’ ‘lupa’) si danno allo scopo di ammansire il lupo mannaro che distrugge i bimbi neonati. (Zelenin 1988-1989, I 241).
Già Frazer nel Ramo d’oro, d’altro canto, aveva notato che i pastori danesi, per paura di evocare il lupo pronunciando il suo vero nome, lo chiamavano ‘Il Silenzioso’, ‘Zampe Grigie’, ‘Denti d’Oro’ e che i nativi della Camciatca non nominavano il lupo credendo che sentisse sempre quello che si diceva di lui.
La natura totemica, e dunque tabuizzata, del nome del lupo è dimostrata anche dal fatto che in indoeuropeo non è ricostruibile una radice univoca per le diverse forme (lat. lüpus, gr. likos, ted. wolf, russo volk, sanscr. vrkas); tra le varie radici proposte si annoverano creative proposte linguistiche quali ulkuas, urkuas, ulikuas, urikuns, ulukuas, utukuas, fino all’impronunciabile w/kwo.

Concordo con Xaverio Ballester nel ritenere che alla base di tutti questi nomi ci sia più plausibilmente una radice vicina a un’onomatopea del tipo uluky’s.

Ai nomi noah elencati da Frazer e Zelenin aggiungerei i seguenti:
gael. samhach ‘lupo’, ma anche ‘silenzioso’;
galls. (Powys) Ilwyd ‘lupo’, ma anche ‘grigio’;
sved. onamnbara ‘lupo’, ma anche ‘l’innominabile’;
finl. nukkuja ‘lupo’, ma anche ‘il dormiente’;
emil. (Alto Frignano, località Fiumalbo, in provincia di Modena) lansò, letteralmente il ‘non lo so’.

Coerentemente con queste prerogative totemiche, il lupo appare spesso con nomi parentelari, che richiamano la figura dell’antenato.
Nel citato studio di Zelenin, viene ricordato come, presso i Serbi, «il lupo viene anche invitato come padrino e per far ciò si spara nel bosco e si grida: O lupo! Ascolta, è nato il tuo figlioccio! Voglia Iddio che sia sano e forte come te! O lupo! O lupo!», e certamente ha un qualche nesso con questa essenza parentelare arcaica il fatto che la documentazione onomastica relativa al lupo sia connessa alle tradizioni della famiglia patriarcale indoeuropea: si pensi a Lykúrgos (in Grecia), Ulpius (presso gli Italici), Wulfila (presso i Goti), Lope (per gli Spagnoli; cfr. cogn. pl. Lopez), Wolfgang ‘incedere di lupo’ (presso i Tedeschi), Vuk (presso gli Slavi meridionali), Vrka-karman (presso gli Indiani).
I corrispettivi italiani sono rappresentati dalle varie attestazioni di Lupo, Lupi, Luppi, etc. nei nostri cognomi.
Come nota Xaverio Ballester, «la presenza di animali nell’etnonimia e nell’antroponimia è spesso un buon indizio di totemismo […]».

Rilevanti, sul piano semantico, mi sembrano soprattutto attestazioni come le seguenti:
ungh. nagyapa ‘lupo’, ma anche ‘nonno’;
irl. (Connemara) uncail ‘lupo’, ma anche ‘zio’;
ned. nonkel ‘lupo’, ma anche ‘zio’;
galiz. (Pontevedra) tenro ‘lupo’, ma anche ‘genero’;
lad. (Val di Fassa) neine ‘lupo’, ma anche ‘nonno’;
piac. (Bobbio) vècia ‘lupo’, ma anche ‘vecchia’.