Cure parentali
Marianna Porqueddu

Le cure parentali sono presenti in moltissime specie e in moltissime forme: approvvigionamento di cibo o allattamento, costruzione di nidi o ripari, difesa della prole, e altre forme di aiuto come fornire ai figli accesso a buone zone di foraggiamento, aiuto nell’acquisizione e difesa del territorio, ecc.

Noi esseri umani siamo tra le specie in cui le cure parentali hanno la durata più lunga e si manifestano in modi complessi e fortemente legati alla cultura di riferimento.

Ma cosa succede quando un essere umano adotta un altro animale. Quando ci definiamo genitori dei nostri cani?

Sarà capitato a molti di voi di sentire un vostro amico o vostra amica definirsi papà o mamma del proprio animale. Quanto è lecito definirsi tali? Siamo davvero dei genitori adottivi per i nostri compagni a quattro zampe?

Le cure parentali sono assicurate dalla presenza di quel fenomeno conosciuto come attaccamento.

Tutti sappiamo grossomodo cosa sia l’attaccamento e tutti lo abbiamo sperimentato. Si tratta  di quell’insieme di risposte comportamentali, affettive e cognitive che porta i piccoli a legarsi alle figure di accudimento fondamentali per la sopravvivenza fisica ed emotiva.

La teoria dell’attaccamento nasce come “teoria umana”, ma è ormai evidente che si tratti di un fenomeno molto più diffuso e i meccanismi neurobiologici che lo regolano sono facilmente individuabili in molte altre specie.

Secondo Bowlby, il bambino, ma più in generale tutti i piccoli delle specie in cui l’attaccamento ha luogo (o imprinting, se parliamo ad esempio di alcune specie di uccelli), ha una propensione a formare attaccamenti, ma la natura di questi attaccamenti e le loro dinamiche dipenderanno dall’ambiente al quale lui si trova esposto.

Il sistema di attaccamento umano impiega diversi mesi per svilupparsi e, in questa fase di sviluppo  il bambino costruisce una certa quantità di modelli mentali di se stesso e degli altri basati su pattern ripetuti di esperienze interattive (modelli operativi interni). Questi schemi formano modelli rappresentazionali relativamente fissi che il bambino usa per predire il mondo intorno a lui e mettersi in relazione con esso.

Un bambino con un attaccamento sicuro possiederà un modello operativo interno di persone che si prendono cura di lui, e avrà di sé un’immagine di essere sensibile e meritevole di queste attenzioni.

Al contrario, un bambino dall’attaccamento insicuro potrà vedere il mondo come un posto pericoloso, poco ospitale, e considererà se stesso come incapace e non meritevole di amore.

Attraverso i modelli operativi interni, i pattern di attaccamento dell’infanzia sono trasposti nella vita adulta e alle nuove generazioni.

Alla base dell’attaccamento c’è inoltre una solida struttura biologica condivisa con tante altre specie (che si scoprono sempre più numerose).

I legami di attaccamento implicano percezioni multisensoriali, ad esempio prevalentemente olfattive nei roditori e visive nei primati, e complesse risposte motorie (ricerca di vicinanza, comportamenti di accudimento e di difesa).

L’attaccamento inoltre è sotteso da numerosi processi cognitivi quali attenzione, memoria, riconoscimento sociale e soprattutto la spinta motivazionale, che lega gli input sensoriali agli output motori.

Nei mammiferi l’interazione del piccolo con la madre ha profondi effetti sul comportamento, che a sua volta può determinare modificazioni durature di natura sia neuroanatomica sia neuroendocrina. Per esempio, le prime esperienze di vita sembrano essere in grado di influenzare i processi di neurogenesi in risposta allo stress nell’adulto. La mancanza delle cure materne altererebbe il normale sviluppo dei sistemi dell’ossitocina e della vasopressina nei cuccioli di mammifero.

Ad esempio, i ratti separati dalla madre per periodi prolungati mostrano, da adulti, comportamenti anomali di tipo ansioso e un’esagerata risposta endocrina allo stress acuto.

Data la presenza quasi universale dell’attaccamento, sembra quindi naturale e lecito che ci si possa sentire genitori dei nostri cani.

Ovviamente la conclusione non è così automatica.
Siamo tutti programmati per creare legami di attaccamento ed è quindi naturale che si crei anche tra noi e i nostri animali. Ma ogni specie presenta cure parentali con caratteristiche comportamentali, emotive e durata specifiche, e alterarle, “imponendo” il nostro stile di attaccamento ad una specie diversa dalla nostra, significa necessariamente alterare il comportamento animale e umano.

Nel rapporto di dipendenza creato da parte nostra, ci troviamo spesso a prenderci cura dei nostri cani che rimangono inetti per tutta la vita, incapaci, o meglio, messi nelle condizioni di essere incapaci di procurarsi il cibo, riprodursi e crearsi un riparo.

Ma qui sta la trappola, soddisfando questi fondamentali bisogni, scambiamo il nostro ruolo di care giver (fornitore di cure) con ruolo di veri e propri genitori, attribuendoci delle responsabilità che non sempre siamo disposti a soddisfare per la nostra natura e quella dei nostri compagni.

Inoltre, ai nostri cani viene attribuito il ruolo di figli, ruolo ricco di investimento emotivo, progettuale, che per ovvie ragioni non sono in grado di ricoprire.

Si capisce bene che il rischio di non vedere più l’animale, ma un figlio con bisogni nettamente differenti da quelli che normalmente avrebbe, porta ad una relazione alterata in cui si richiede da una parte un certo tipo di comportamenti coerenti con la specie di appartenenza, e dall’altra si chiede invece di soddisfare dei bisogni che non è possibile soddisfare né come pseudo genitori, né come pseudo figli.

Le richieste incomprensibili per la natura delle due parti, con conseguenti frustrazione e comportamenti patologici da parte di entrambe le parti, saranno l’esito di questo mancato rispetto delle personalità coinvolte.

Ma Bowlby ci viene ancora in aiuto!

L’attaccamento non è solo quello filiale o materno. L’attaccamento è anche quello che sviluppiamo per le figure definite come fondamentali e quindi costruite anche in età adulta.

E’ quello che creiamo con i nostri partner, con amici, vicini di casa e quindi anche con i nostri cani.

Quello che spesso proviamo gli uni per gli altri è assolutamente riconducibile al comportamento di attaccamento e spesso al ruolo di care giver, ma non potremmo mai essere i genitori di un cane. Potremmo però essere dei grandi amici, figure fondamentali per loro, come loro lo sono per noi, costruendo una relazione che non confonda i ruoli, ma ne riconosca i pieni diritti e doveri.

Da parte mia, posso quindi sperare di essere una figura fondamentale per i miei compagni di viaggio…di certo sarei una pessima madre!