Evoluzione
Dott.ssa Lisa Fiore

L’analisi morfologica congiuntamente alla conoscenza di caratteristiche di specie come: struttura di popolazione, uso dei territori, ibridazione ed analisi delle strategie di sopravvivenza, possono fornire preziose indicazioni.
Dott. Marco Rendina

Dipartimento di Scienze Zootecniche e Ispezione degli AlimentiUniversità degli Studi di Napoli “Federico II” Membro corrispondente della Wild Animals Vigilance Euromediterranean Society (WAVES).
Segretario della Commissione Conservazione Fauna e Aree Protette
Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Napoli.

Nel corso della trattazione si è resa necessaria l’analisi di recenti studi di genetica molecolare in grado di favorire la comprensione dei fenomeni e/o cambiamenti indotti dalle ibridazioni; possibile minaccia per i piani di conservazione della diversità genetica dei Canidi selvatici.

DINAMICHE EVOLUTIVE DELLE POPOLAZIONI
Un tempo i Canidi sono stati erroneamente raggruppati, dal punto di vista filogenetico, insieme a Carnivori come gli Ursidi e i Procionidi; successivamente sono stati considerati più vicini ai Felidi. I Creodonti (Creodonta), sono stati ritenuti gli antenati dei veri Carnivori terrestri dominanti per venti milioni di anni; tra i 55 e i 35 milioni di anni fa, le origini risalgono al Cretaceo superiore, anche se, si diversificarono in circa 50 Generi e divennero consistenti numericamente nell’Eocene; periodo nel quale si diffusero in tutto il mondo ad eccezione dell’America Meridionale e dell’Australia. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che i Canidi rappresentano un gruppo di mammiferi di origine diversa, che per morfologia somigliava ai Carnivori in virtù della convergenza evolutiva. Questi, presentavano i Carnassiali, (denti tipici dei Carnivori), nel corso del tempo evolutisi con la funzione di lacerare la carne, mentre differivano per dimensione di massa celebrale ed in piccola parte per struttura scheletrica. Si estinsero circa 8 milioni di anni fa, l’ultimo creodonte di piccola taglia, visse in Pakistan. I Miacidi (Miacidae), discesero dai Creodonti, da questi si originarono diverse Famiglie di Carnivori moderni. La taglia era piuttosto piccola, 40 centimetri di lunghezza con zampe corte, mentre la formula dentaria era molto prossima a quella degli odierni Carnivori; è possibile, quindi, affermare che erano somiglianti agli odierni cani. Loro resti sono stati rinvenuti in Nord America, Europa e Asia.Il primo canide conosciuto dell’Eocene è il Procynodictis, molto simile ai Miacidi. La Sottofamiglia Hesperocyoninae, si diffuse nell’Oligocene (35 – 45 milioni di anni fa), in tutto il Nord America e deriva da animali imparentati con i Procynodictis. Successivamente nel Miocene si diffuse la Sottofamiglia dei Borophaginae, che sviluppo la capacità di frantumare le ossa, come le attuali iene. Nel Pliocene inferiore, invece si diffusero in tutti i continenti ad eccezione dell’Oceania e dell’Antartide le volpi, mentre i cani veri e propri, erano presenti già nel Miocene medio, in Nordamerica con l’Eucyon, considerato il diretto antenato del genere Canis. Il ricongiungimento dei due continenti americani permise lo scambio reciproco del flusso genico tra le popolazioni, interessando anche i canidi migrati in sud America, che diedero origine a forme endemiche come lo Pseudalopex, il Chrysocyon, lo Speothos e gli ormai estinti Dusycon e Protocyon.

CONFRONTO TRA PALEONTOLOGIA, FILOGENESI, MORFOLOGIA ED EVOLUZIONE MOLECOLARE
In un recente studio di Sotnikova (2006), è stato descritto un nuovo Canidae, il Nurocyon chonokhariensis. Il ritrovamento di un cranio ben conservato, risalente al Pliocene, nella zona della grande depressione dei laghi, presente a nord-ovest della Mongolia, ha permesso di riscontrare una insolita combinazione di caratteristiche primitive e derivate, distinte da altre di membri appartenenti a tribù canine del Pliocene (Eucyon e Nyctereutes). La morfologia cranica del modulo studiato non ha indicato nessuna stretta affinità con qualsiasi altro genere noto del Pliocene nella zona eurasiatica. L’unica specie fossile in grado di condividere somiglianze con il Nurocyon chonokhariensis è l’Adoxus del Pliocene in Europa. Filogeneticamente rappresenta una linea distinta emersa durante la prima diversificazione di canidi in Eurasia all’inzio del Pliocene. Ricerche condotte da Spassov e Rook (2006), sempre in territori della Mongolia, hanno portato alla scoperta di una nuova specie risalente al Pliocene, appartenente al genere canide, originatasi da geni Eucyon, l’Eucyon marinae. Specie caratterizzata da grandi premolari e mandibola assottigliata. Anyonge e Baker (2006), confrontando la morfologia cranica del Canis dirus, esistente nel tardo Pleistocene in Nord e Sud America, con quella degli attuali lupi grigi, iena ridens (Crocuta crocuta) e Borophagus secundus, hanno dimostrato che il Canis dirus, non differisce in maniera significativa dal lupo grigio almeno per 11 dei 15 indici considerati, come ad esempio la posizione dei denti della mascella inferiore o la dimensione del muscolo massetere, mentre il Canis dirus si è caratterizzato per un più ampio muscolo temporale. Il Borophagus secundus, esistente nel tardo Miocene, ha mostrato caratteristiche intermedie nella maggior parte degli indici cranici e mandibolari, rispetto ai due lupi e alla iena ridens, inoltre nei riguardi di quest’ultima ha mostrato diverse caratteristiche comuni, derivanti dalla capacità di frantumare le ossa. La morfologia del Canis dirus era tozza, gli arti erano forti, robusti e brevi, mentre la testa era più grande rispetto a quella del lupo, anche se la massa celebrale era minore. Questi soggetti hanno probabilmente occupato la nicchia ecologica del continente americano appartenente alle iene, del resto le analogie con quest’ultima specie sono numerose. I reperti fossili hanno mostrato tra le altre caratteristiche, forti segni di usura dei denti, conseguente all’ancestrale istinto di sfruttare le carogne completamente, tali segni sono ancora riscontrabili nelle iene. Possiamo supporre che il comportamento alimentare, del Canis dirus, sia stato simile a quello del lupo grigio, anche se la tecnica di predazione del primo probabilmente era meno efficace, in quanto allungava l’agonia della preda. Il migliore punto di riferimento per i reperti di fossili scheletrici, sono gli scavi di Rancho La Brea (letteralmente campo dei pozzi di catrame), in California, dove sono stati trovati ben 3600 Canis dirus, più di ogni altra specie presente. Recenti ritrovamenti in Arkansas, hanno poi dimostrato, che il Canis dirus, potrebbe essere vissuto sino a 4000 anni fa. Circa 10 milioni di anni fa, si sono originate alcune specie di Canidi selvatici, che iniziarono a diversificarsi 7 milioni di anni fa, in Nord America, alcune arrivate poi 2 milioni di anni fa in Eurasia ed attraverso lo Stretto di Bering in Africa, da qui in poi si sono originate gli attuali Generi Canis (cani, lupi, sciacalli) eVulpes (volpi). Il lupo rosso (Canis rufus), il lupo grigio (Canis lupus) e il coyote (Canis latrans), secondo un autorevole teoria, sembrano discendere da una popolazione di lupi presente nel Nord America. Origine filetica e posizione tassonomica del cane, sono state oggetto di molte ipotesi avanzate da grandi studiosi, talvolta trovatesi in contrasto tra loro. Alcuni di essi ritenevano che lupo, sciacallo e coyote fossero stati i progenitori del cane e che, le differenti aree geografiche, con i diversi sistemi di addomesticamento, unitamente agli incroci tra specie, avevano dato luogo alle diverse razze canine. Inoltre, in molti evidenziarono la possibilità di poter riconoscere il differente apporto delle specie progenitrici. L’ipotesi formulata, apparve agli occhi di tutti credibile, in virtù del fatto che in natura il cane si incrocia con i suddetti Canidi selvatici generando prole fertile (Wayne, 1993). Nei cani selvatici, Boitani (1981), ha rilevato una media di 7,3 mesi inter estro (range 6.5-10). Inoltre, il 50% dei parti si è verificato durante il periodo febbraio-maggio. In Italia per la volpe il periodo dei parti è nel mese di aprile, mentre per il lupo tra aprile e maggio (Boitani 1981), in natura la lupa si accoppia al primo calore, mentre nel cane tendenzialmente si arriva al secondo o al terzo ciclo estrale prima di programmare una cucciolata. Anche se il processo di addomesticamento ha influito su alcune caratteristiche del Canis familiaris, quando esso viene riportato in condizioni naturali tali aspetti risultano molto simili a quelli del lupo, ad esempio, se in ambiente casalingo le cagne possono raggiungere un numero massimo di cuccioli per parto, pari a 17 (mediamente 10), le cagne selvatiche partoriscono un numero di cuccioli variabile tra 4 e 6, similmente al lupo. Successivi studi su alcuni genomi mitocondriali, hanno confermato la stretta parentela dei cani con i lupi grigi, e dei coyote con il lupo d’Abissinia (Canis simensis), noto anche come caberù. Quest’ultimo relegato in un piccolo areale delle montagne Etiopi a circa 3000 metri s.l.m., è la prova vivente di una passata colonizzazione di queste zone da parte dei lupi grigi. Questa è tra le specie di Canidi più rare e minacciate, infatti se ne contano solo 12 branchi, per un totale di 550 esemplari adulti. Questi taxa sono distinti dal cane selvatico africano (Lycaon pictuse), dallo sciacallo dorato (Canis aureus), dallo sciacallo striato (Canis adustus) e dallo sciacallo dalla gualdrappa (Canis mesomelas).Lanszki et al., nel 2006, hanno osservato le abitudini alimentari in natura, dello sciacallo dorato e la competizione trofica interspecifica con la volpe rossa, in una zona recentemente colonizzata dalla prima specie, nell’Europa centrale e più precisamente in territorio ungherese. In quattro anni sono stati monitorati 814 sciacalli dorati e 894 volpi rosse. Gli sciacalli dorati rispetto alle volpi rosse, hanno consumato una quantità maggiore di piccoli mammiferi (77 vs 68 % per sciacallo e volpe, rispettivamente). L’incidenza e/o importanza della presenza di altri selvatici; cinghiali, cervidi, lepri marroni, uccelli, rettili, pesci, invertebrati ed altri animali domestici è stata minima. Infatti essendo entrambe le specie mesocarnivore, consumatrici. quindi, principalmente di animali di piccole dimensioni (<50 g: 92 e 87% per sciacallo e volpe, rispettivamente); hanno un comportamento alimentare che implica la scelta di una strategia di ricerca e caccia in solitario. L’ampiezza della nicchia trofica per entrambe le specie è stata modesta e, inoltre, la volpe si è dimostrata meno selezionatrice dello sciacallo. Nell’area oggetto di studio la disponibilità di alimenti è risultata elevata (73% in media) e variabile in funzione della disponibilità e del consumo di piccoli mammiferi. Quest’ultima valutazione è stata effettuata per lo sciacallo sulla base di resti di preda, appartenenti a piccoli di cinghiale e ungulati domestici ritrovati, nell’arco di due stagioni di predazione; mentre per la volpe, sulla scorta della disponibilità di frutta di stagione e dei resti di ungulati domestici ritrovati nello stesso periodo. Ulteriori approfondimenti attraverso l’analisi del DNA mitocondriale, tecnica utilizzata per ricostruire filogenesi e/o relazioni attraverso l’alto tasso di sequenze di sostituzione presenti nel genoma mitocondriale, hanno permesso di stimare un’alta divergenza di sequenza (circa 8%), tra due individui di sciacallo dalla gualdrappa, appartenenti alla medesima popolazione, (Wayne e Jenks 1991). Evidenziando una maggiore diversità, in un segmento mitocondriale del citocromo b, e rilevando la più grande divergenza registrata all’interno di una popolazione libera di incrociarsi. Infine, attraverso lo studio della morfologia e l’analisi dei geni nucleari si è contestualizzata la divergenza delle sequenze di DNA mitocondriale di questi due genotipi, con l’evento che ha dato origine allo sciacallo dalla gualdrappa.L’analisi comparata dei cromosomi dei canidi ha rivelato, inoltre, un’ampia gamma di morfologie, che vanno da quella volpe rossa (Vulpes vulpes), che ha un basso numero di cromosomi diploidi (2n = 36), a quella del lupo grigio, che ne ha un elevato numero di cromosomo diploidi (2n = 78). Secondo alcune teorie gli antenati del lupo grigio, migrarono in Europa e in Asia originando il lupo grigio, come lo conosciamo oggi, per poi ritornare in America circa 300.000 anni fa. Contemporaneamente il coyote e il lupo rosso, iniziarono a differenziarsi. Brad White della McMaster University e Paul Wilson della Trent University nel 1999,studiando resti fossili e effettuando valutazioni morfologiche hanno dimostrato che i lupi del Canada sud-orientale in passato ritenuti grigi, in realtà erano lupi rossi. L’attuale lupo rosso del Canada orientale sarebbe il risultato di differenti incroci (lupi rossi x lupi grigi; ibridi coyote x lupi rossi; lupi rossi x lupi grigi) pare, infatti, che il lupo grigio, a differenza di quello rosso, non sia in grado di incrociarsi per via diretta con il coyote. Lupo e coyote Nord Americani quindi si sono ibridati diffusamente, originando il lupo rosso (Wayne, 1993) e la US Fish and Wildlife Service’s (USFWS) Red Wolf Recovery Program, ha riconosciuto proprio l’ibridazione quale principale causa del mancato recupero del lupo rosso.In passato la valutazione morfologica degli animali viventi e dei fossili ha fornito le informazioni circa l’evoluzione dei Canidi, mentre oggi lo sviluppo di tecniche biochimiche e di genetica molecolare consente di esaminare le differenze tra le specie e di ricercarne i rapporti filogenetici, nonchè per meglio comprendere l’evoluzione dei Canidi e il flusso genico tra le popolazioni all’interno della specie. Adam et al. (2003), hanno studiato il fenomeno dell’ibridazione tra lupi rossi e coyote, attraverso l’utilizzo di tecniche di monitoraggio ambientale e campionamento del DNA. L’identificazione degli individui ibridi risulta poco agevole sulla scorta esclusiva dei parametri morfologici, inoltre essendo l’areale di distribuzione degli ibridi molto esteso (6000 km2), non permette un monitoraggio efficace. La ricerca sviluppata, ha promosso azioni volte alla realizzazione di un metodo non invasivo d’indagine, che confrontasse sequenze di DNA mitocondriale, provenienti da campionamento filogenitico per linea materna e dati geografici acquisiti attraverso l’utilizzo del sistema (GIS); criterio utilizzabile su vaste aree.La differenza morfologica oggi presente tra i Canidi, è frutto della selezione naturale generatasi in conseguenza degli habitat d’appartenenza (foreste temperate e tropicali, savana, tundra e deserti) e della selezione artificiale operata dall’uomo.La famiglia Canidae consta di 33 specie, (una specie recentemente scomparsa è il lupo delle Isole Falkland o Warrah (Dusicyon australis), 14 generi e 270 sottospecie. Miglior destino se così si può affermare, ha avuto il lupo grigio, forse anche in virtù delle 53 sottospecie, alcune delle quali scomparse, ed altre gravemente minacciate. Recenti ricerche paleontologiche, morfologiche, genetiche, (Wayne, 1993 e Vilà et al. 1997), pur non avendo portato ad una unica verità, concordano nel ritenere che il lupo sia l’unico progenitore e conspecifico del cane. I cani sono quindi lupi con diversa taglia e proporzione (Wayne, 1993). Come a più voci evidenziato, il lupo è stato la prima specie ad essere addomesticata dall’uomo; unico animale reso domestico già in età Paleolitica, grazie ad un lento processo di addomesticamento avvenuto in zone diverse del suo areale, ciò ha spinto ad ipotizzare che differenti gruppi di cani si siano originati proprio da queste popolazioni diverse di lupi (Azzaroli, 1984; Vilà et al. 1997). L’esame di alcuni dati genetici, ha permesso di datare la domesticazione del cane a circa 100.000 anni fa (Vilà et al. 1997), tuttavia esistono prove del legame tra ominidi e lupi risalenti a oltre 400.000 anni fa (Clutton-Brock, 1995). Appare quindi evidente la necessità di ulteriori studi, finalizzati alla ricerca di certezze conoscitive che permeano le basi nelle tracce fossili certe, attribuibili a cani; provenienti da vari luoghi di sepoltura umana, come nel Kurdistan irakeno, nella valle del Giordano ed in Cina, prove queste, risalenti a 14.000 anni fa (Azzaroli, 1984). La grande variabilità dei ritrovamenti, suggerisce che possano esserci stati differenti addomesticamenti avvenuti in vari luoghi e tempi. Le diverse teorie in base genetica rispetto a quelle paleontologiche, possono con molta probabilità, essere frutto dell’assenza per molti anni di distinzione morfologica tra forma selvatica e domestica nei numerosi ritrovamenti di fossili scheletrici. Nel passaggio tra civiltà nomadi (cacciatori-raccoglitori), a stanziali agricole, 10.000 e 15.000 anni fa, è sorta la necessità di selezionare soggetti con caratteristiche differenti da quelle dei consimili selvatici (Morey, 1994). Altri resti fossili noti, risalgono al 10.000-6.500 a.C. e sono stati trovati in Danimarca, in Yorkshire, in Germania orientale e nella valle dell’Indo. Rilievi in Anatolia meridionale, del 7.500 a.C., hanno dimostrato come già in quell’epoca era in uso l’utilizzo di cani da caccia. Mentre, probabilmente cani selvatici erano ancora presenti in Eurasia dopo il processo di addomesticamento, avvenuto nel Mesolitico, era in cui le interazioni tra ominidi e canidi furono notevoli, infatti il mutato approccio culturale dell’uomo nei riguardi dell’ambiente naturale circostante, favorì l’integrazione dei cani negli insediamenti antropici. Anche nel Continente Nord Americano, i cani selvatici sono esistiti ben prima del contatto Europeo (McKnight 1964); teoria supportata dall’esempio del dingo australiano e del suo probabile antenato, cane primitivo (pariah dog e/o pye dog), relegato in Eurasia meridionale (Zeuner 1963). Per definizione questi ultimi, non sono necessariamente selvatici, in India questi esemplari sono riconosciuti come specifica razza, mentre altri, identificano con questo termine solo il tipo di cane o il gruppo di classificazione. Questi cani vengono considerati primitivi, anche in virtù dell’assenza di addomesticamento e/o di selezione operata dall’uomo. Studi effettuati sul DNA, hanno dimostrato che il pool genico del cane primitivo è certamente più vecchio dei cani riconosciuti di razza pura, pertanto tutti i ceppi attualmente presenti di cane primitivo sono a rischio di perdita di unicità genica, in quanto soggetti ad ibridazione con cani puri o di razza mista. Onde evitare questo problema alcuni ceppi sono stati riconosciuti ed i pedigree registrati, per preservarne il tipo puro. I dingo e i pariah dog, appartengono a gruppi di cani che hanno completato il de-addomesticamento e pertanto oggi sono ritenuti selvatici, questi infatti sono stati esposti alla selezione naturale per un numero significativo di generazioni. Nel IIXX sec., i cani selvatici vaganti, sono stati segnalati costantemente da numerosi autori, in molte grandi città del bacino del Mediterraneo (Istanbul, Alessandria d’Egitto), indicati e descritti come sub-specie distinte. Il clima favorevole e l’abbondanza di risorse trofiche in area mediterranea, hanno favorito il proliferare di popolazioni selvatiche, nei dintorni dei villaggi.

CONSIDERAZIONI SULLA SITUAZIONE ATTUALE
In un censimento nazionale condotto nel 1981 in Italia (Boitani e Fabbri 1983), sono stati stimati 80.000 cani selvatici, cioè Canis familiaris che vivono senza alcun contatto diretto con l’uomo. Nonostante l’ampia portata dell’impatto sulla salute umana ed ambientale, di questi cani, tali popolazioni raramente sono state studiate sino a poco tempo fa. Lupo e cane pur avendo nomi distinti, hanno caratteri tassonomici che li collocano all’interno della medesima specie. La selezione operata dall’uomo, durata circa 12.000 anni, ha poi amplificato le diversità fenotipiche, che sono il risultato della selezione naturale e artificiale. Il processo di domesticazione ha alterato i comportamenti indotti dagli istinti ancestrali, tramandati dai progenitori. L’esposizione poi, dei cani selvatici a gruppi di forze di selezione naturale intra ed inter-gruppo, le variabilità individuali e gli incroci, hanno reso ancor più arduo il compito dell’interpretazione e della stima del grado di espressione di alcune caratteristiche comportamentali, quali socializzazione e territorialità. Talvolta sono riscontrabili comportamenti intermedi in conseguenza di cambiamenti di status non radicali, che possono durare buona parte del ciclo vitale dell’individuo.Ulteriori studi sulla biologia dei cani selvatici e l’analisi delle strategie attuate per la sopravvivenza in natura, potrebbero fornire indicazioni precise per una migliore comprensione delle dinamiche evolutive e di adattamento. Certa è l’appartenenza degli stessi ad una categoria disomogenea di animali. Secondo una definizione di Boitani, i cani selvatici vanno identificati come esseri viventi allo stato libero e selvaggio, senza cibo, ne riparo alcuno forniti intenzionalmente dall’uomo e privi di qual si voglia forma di socializzazione nei confronti dello stesso.La struttura sociale dei cani selvatici differisce dalla gerarchia lineare presente tra i lupi, infatti nei primi sembra esserci esclusivamente aggregazione monogamica, inoltre il comportamento agonistico è praticamente assente, quindi non esiste alcuna forma di controllo su attività come la riproduzione. La formazione e la persistenza di un branco si basa sul legame tra i membri, non sempre il comportamento dei singoli può ricondursi a quello specifico di gruppo e/o unità sociale. Le dimensioni del gruppo di cani selvatici, possono essere fortemente condizionate dalla necessità di cacciare per procacciarsi cibo, probabilmente gruppi più numerosi (fino a 6 animali) sono presenti solo in zone dove le fonti di cibo sono maggiori. Viceversa un gruppo di lupi ha dimensioni mutevoli in virtù del periodo dell’anno, si passa da 2 a 15 individui in inverno, per arrivare sino ad un massimo di 36, come segnalato (Rausch 1967). Le dimensioni del gruppo sono regolate delle dinamiche interne, in funzione della mortalità, del tasso di reclutamento e del grado di dispersione dei membri nel tempo (Packard e Mech 1980). Come precedentemente evidenziato per i cani selvatici, anche per i lupi, un importante fattore che condiziona la consistenza del gruppo e la disponibilità di alimento, infatti la maggiore disponibilità di prede, produce proporzionali cambiamenti nella dimensione dei gruppi. Sembra, quindi, ragionevole presumere che l’assenza di una struttura sociale nei cani selvatici rappresenti il limite al numero di individui aggregabili al gruppo, al fine di ottenere una cooperazione efficace come unità funzionale per caccia, difesa territoriale e cura della prole. Questo potrebbe spiegare la minore consistenza dei gruppi di cani selvatici rispetto a quelli di lupo. Fabbri et al. (2007), hanno descritto ed identificato filogeneticamente i lupi presenti in Italia settentrionale verso la fino al secolo scorso. Mentre negli anni 70 tale popolazione risultava in forte decremento e più precisamente, ridotta a due sole sottopopolazioni, formate da circa 100 individui superstiti, confinate a sud delle Alpi; attualmente si è registrata un’espansione, infatti negli ultimi 16 anni i territori alpini ad occidente, che comprendono anche altri stati (Francia e Svizzera), sono stati ricolonizzati; per lo studio è stato utilizzato DNA estratto da campioni raccolti nell’Appennino (popolazioni fonte) e nella zona alpina (colonie), al fine di valutare la forza di colonizzazione, i tassi di flusso genico tra fonte e colonia, e il numero minimo di colonizzatori, necessari per spiegare la variabilità genetica osservata nella colonia. Furono identificati 435 genotipi distinti di lupo, a dimostrazione del ridotto grado di diversità genica che caratterizza la popolazione alpina rispetto a quella appenninica e, conseguentemente dell’inesistente equilibrio genetico tra le due popolazioni in esame. Le divergenze geniche correlate con le distanze spaziali, sono risultate significative sino a 230 km di lontananza tra i campioni, corrispondenti alla distanza tra le Alpi e la parte settentrionale dell’Appennino. Sulla scorta delle stime effettuate, la migrazione è stata unidirezionale dall’Appennino alle Alpi, con un forte contributo delle popolazioni del meridionale d’Italia alle popolazioni alpine. Il flusso genico tra popolazioni fonte e colonie è risultato moderato (corrispondente a 1.25-2.50 lupi per generazione), nonostante l’elevato potenziale di dispersione. I tassi futuri di flusso genico tra le distinte sottopopolazioni alpine, sembrano quindi essere legati indissolubilmente alle diversità genetiche, alla permanenza della genetica e all’espansione dei gruppi.In Italia, cani selvatici e lupi sembrano avere una demografia di gruppo fortemente condizionata dall’interferenza umana, che in misura diversa ha perseguitato entrambi; questo spiegherebbe i più bassi valori di densità osservati per i lupi in Italia (1.25/100 km2, Zimen e Boitani 1975) e Spagna (1.5-2/100 km2, Vilà, 1993), rispetto a quelli nordamericani in periodo di calo demografico (3.4/100 km2, Mech 1986). Nel caso dei cani selvatici nel nostro Paese la densità stimata secondo Boitani è di 1.3-2.0 cani selvatici/100 km2, simile a quella del lupo. Jedrzejewski et al. (2007), hanno comparato, dati di popolazioni autoctone di lupi in Polonia orientale con quelli presenti in letteratura di popolazioni alloctone. Quattro popolazioni della Bialowieza Primeval Forest, sono state studiate tramite radio-tracking dal 1994 al 1999. La grandezza dell’areale di popolazione annuale, è risultata in media di 201 km2, mentre per le popolazioni di ridotte dimensioni (3-8 lupi), la superficie territoriale è risultata meno determinante. Il territorio d’inerenza dei singoli lupi appartenenti alla medesima popolazione è variabile in funzione dello stato della popolazione, del ciclo riproduttivo, della stagione, del sesso e dell’età degli individui. Nel corso di altre trattazioni è emerso che anche altri fattori come, la latitudine geografica e la disponibilità di prede sul territorio, sono in grado di incidere sulla consistenza della popolazione, sulla distribuzione di specie e sulle dimensioni dei territori occupati.Come ampiamente dimostrato, in epoca Neolitica il cane è già presente negli insediamenti di origine antropica, ed è possibile riconoscere i tipi razziali, sia grazie alle raffigurazioni che forniscono dati morfologici, sia attraverso tracce fossili scheletriche che evidenziano la grande variabilità di statura e forma (Azzaroli, 1984). L’attuale cane domestico (Canis familiaris) è quindi un carnivoro filogeneticamente molto vicino al lupo, specie da cui è derivato (Wayne et al. 1989, Wayne et al. 1992a). Si può senza dubbio asserire che il cane sia la specie che da più tempo si è coevoluta a stretto contatto con l’uomo. Il cane domestico, è quindi un lupo con caratteri morfologici modificati dalla selezione operata dall’uomo, in funzione delle sue esigenze. Conta 350 differenti razze di cani domestici ufficialmente riconosciute (cioè rispondenti a precisi standard), raggruppate secondo le loro funzioni: caccia, compagnia, pastore, utilità, guardia e difesa. IlCanis familiaris è una delle sottospecie con cervello più piccolo del 20%, sistema immunitario meno potente e olfatto meno sviluppato. Viene allevato come animale domestico, sebbene esistano anche piccole popolazioni inselvatichite. In alcune parti del mondo è ricercato per la sua carne. Lo stretto legame tra uomo e cane ha superato, profondi rivolgimenti intervenuti nella vita dell’uomo, come il passaggio dalla vita nomade agli insediamenti stabili, dall’epoca agricola a quella industriale e dalla vita in campagna a un sempre più intenso urbanesimo. Prove tangibili di questo legame sono il culto a lui reso, nelle varie epoche, come nel caso dei titoli assegnati ai capi di molti popoli, che si ricollegano al nome cane, Califfo (in arabo), Scià (in persiano), Kan (in mongolo), altre testimonianze sono, i recinti sacri, come nel tempio di Esculapio a Roma, dove il cane veniva trattato con tutti i riguardi poiché si riteneva fosse a lui legata la sorte del popolo, inoltre i nomi di molte popolazioni, Cinesi in Asia e Cuneesi in Italia, la parola vecchio in latino (Senex), hanno un’etimologia che si ricollega al nome cane. Sulla scorta di quanto affermato in precedenza è possibile affermare che, il rapporto lupo/uomo è stato di reciproco vantaggio, poiché il primo in passato è stato protetto dall’uomo, avendo grazie a lui la possibiltà di colonizzare nuovi areali ed in taluni casi, riuscire anche a ritornare alla vita silvestre come per il dingo australiano, che vive allo stato semiselvatico; mentre il secondo ha potuto godere dei servigi di quello che negli anni è diventato poi, un fedele amico. L’esito favorevole dell’addomesticamento del lupo è dovuto con molta probabilità alle caratteristiche comportamentali della specie in oggetto, che vive in branchi all’interno dei quali vige una precisa e rigida gerarchia lineare, vede il capo essere anche il progenitore di gran parte del branco ed ha spiccata territorialità che conferisce loro la qualità dell’essere ottimi animali da guardia e che gli conferisce la possibilità di cibarsi dei resti di animali uccisi (specie eurifaga); caratteristiche che hanno favorito il processo di domesticazione, fortemente condizionato anche dall’estrema socializzazione dei cuccioli nei primi mesi di vita. Recenti studi hanno poi riscontrato in frammenti di restrizione di DNA mitocondriale di sette razze di cani d’allevamento e 26 lupi grigi provenienti da diverse popolazioni di tutto il mondo, due genotipi che differiscono esclusivamente per la perdita o il guadagno di uno o due siti di restrizione. Il cane domestico (Canis familiaris), ha quindi al massimo lo 0.2% di sequenze di DNA mitocondriale diverse dal suo consimile (Wayne, 1992b). Viceversa il lupo grigio (Canis lupus), si differenzia dal suo parente selvatico più vicino, per circa il 4% di sequenze di DNA mitocondriale, escludendo così la teoria che vedeva forme ancestrali di sciacalli nella filogenesi dei cani. Inoltre, risulta intuitivo che il lupo grigio (Canis lupus) proprio per l’innata capacità di dispersione (propensione alla migrazione), ha la possibilità di riprodursi e imporre più agevolmente il proprio flusso genico. Poiché il genoma mitocondriale si evolve molto rapidamente, la sua analisi è stata importante anche come fonte di indizio circa la differenziazione di diverse sottospecie di lupo grigio e coyote. Mentre non si è riscontrata alcuna differenza genetica sostanziale tra le popolazioni di coyote, sono state, invece, evidenziate alcune divergenze genetiche tra le popolazioni di lupi dell’Alaska e del Canada meridionale. Maggiore è la distanza geografica, più grande è la divergenza genetica riscontrabile all’interno delle popolazioni, fatta eccezione per lupo grigio e il coyote. Relazioni tra genotipi di coyote della California del sud e della Florida sono state riscontrate, pur essendo le due popolazioni geograficamente distanti. La genetica molecolare suggerisce quindi, che in taluni casi il flusso genico è stato di ampia portata e non vi è stato isolamento genico, dato riscontrabile anche attraverso la disamina delle diverse caratteristiche fenotipiche delle sottospecie di entrambi i gruppi. In Europa la struttura delle popolazioni di lupi è piccola e frammentata, dall’analisi del DNA mitocondriale si è risaliti ad un genotipo unico fatta eccezione per alcuni casi. Differenze basse, sono state evidenziate all’interno dei sette genotipi osservati, con appena uno o due siti di restrizione coinvolti su 95 campionati.In passato, centinaia di anni fa, il lupo grigio spaziava e si spostava all’interno di un areale corrispondente all’intera Europa, come oggi nel nord del Canada, questo ha generato una bassissima suddivisione geografica. Mentre oggi, in funzione delle mutate condizioni, legate anche alla forte antropizzazione, enorme preoccupazione desta l’isolamento genico, conseguenza della frammentazione degli habitat; pertanto sarà necessario ricercare la massima biodiversità, anche attraverso, programmi di conservazione atti alla rimozione delle fratture geniche, originatesi dall’uso conflittuale al quale sono stati sottoposti taluni ambienti per esigenze antropiche. La riproduzione ex-situ, può essere di supporto alle azioni volte all’abbattimento della suddivisione geografica ed offrire la possibilità di selezionare artificialmente su larga scala, mentre la conservazione ex-situ non è un alternativa, bensì è complementare alla conservazione delle specie nei loro habitat (in-situ). Popolazioni gestite in maniera adeguata possono servire come preziose riserve genetiche per la sopravvivenza delle specie in natura. Un esempio di distribuzione geografica differenziata è offerto dalle popolazioni di cane selvatico africano (Lycaon pictuse), fisicamente separate da una grande fossa tettonica, la Rift Valley, creatasi 35 milioni di anni fa dalla separazione della placca tettonica africana da quella araba. Questa barriera sembra generare assenza di condivisione genotipica tra cane selvatico africano orientale e australe. Inoltre la divergenza di sequenza tra i genotipi è notevole, l’1% circa della sequenza del gene mitocondriale citocromo b, differisce tra i due gruppi di genotipo (Girman, et al. 1993).La volpe americana (Vulpes velox), specie che vive nelle aride terre dell’ovest americano, ha una distribuzione che riflette la divisione spaziale generata dalle Montagne Rocciose, anche in questo caso dall’analisi del DNA mitocondriale si è risaliti a due distinti gradienti di genetica, le differenze tra queste popolazioni sono state simili a quelle che intercorrono con la volpe artica (Alopex lagopus), specie che in passato era posizionata in un genere separato Alopex, il cui numero di esemplari oggi fluttua in ciclo con la popolazione di lemmings (sottofamiglia Arvicolinae o Microtinae), loro principale fonte alimentare. Le volpi artiche annoverano tra le caratteristiche di specie la velocità riproduttiva anche se la consistenza numerica risulta fortemente influenzata dalla morte in età giovane. Popolazioni limitrofe, appartenenti allo stesso lato delle Montagne Rocciose hanno genotipi simili rispetto a quelli di popolazioni lontane ed isolate da ostacoli topografici. Come riferito in precedenza, specie come lupi e coyote sono estremamente mobili, hanno quindi la possibilità di formare grandi zone di ibridazione. Centinaia di anni fa i coyote erano relegati solo nel sud degli Stati Uniti, mentre i lupi si trovavano nel nord e la loro abbondante presenza escludeva da questi territori i coyote, di conformazione più piccola. Dopo l’arrivo dei coloni europei con agricoltura e programmi di controllo dei predatori, la popolazione di lupo è diminuita, lasciando il passo alle popolazioni di coyote che hanno colonizzato il nord e l’est. Oggi il coyote si trova in tutto il nord America. In Canada orientale, come in corso di trattazione già evidenziato, sono stati riscontrati, individui ibridi che hanno subito trasferimento asimmetrico di DNA mitocondriale, nel senso che in nessun coyote esaminato si è riscontrato genotipo di lupo, ma il genotipo di coyote era comune nei lupi grigi, questo in zone in cui i lupi erano rari ed i coyote comuni. La teoria scaturita da quanto descritto, individuerebbe zone di ibridazione molto più estese, miglia di chilometri distanti dal Canada orientale, focalizzando quindi l’attenzione su tre popolazioni: lupo rosso, lupo grigio e coyote, appartenenti ai territori del sud degli Stati Uniti, l’attuale lupo rosso pare essere il risultato di incroci tra queste popolazioni. In cattività i lupi rossi hanno mostrato un genotipo simile a quello del coyote della Louisiana. Questo poteva però derivare da un errore di campionamento e non essere rappresentativo di popolazioni ancestrali, nel 1975 si è passati quindi ad analizzare, 77 campioni provenienti da zone popolate dagli ultimi lupi rossi, dimostrando inequivocabilmente che tutti avevano un genotipo frutto di incroci indiretti lupo grigio con coyote. In linea di principio già il colore grigio dei soggetti ibridi, potrebbe spiegare la morfologia intermedia dei lupi rossi. Per testare questa ipotesi sono stati isolati DNA da pelli di lupo rosso, di sei musei di cinque Stati, risalenti al 1910, poco prima dell’ibridazione, il risultato dell’analisi filogenetica ha mostrato esiti in linea con l’ipotesi formulata. L’assenza di una politica tendente a controllare gli ibridi è preoccupante, poiché, vero è che, in taluni casi si proteggono gli ibridi perché unici come i lupi rossi, ma in altri casi vedi ad esempio il Minnesota, l’ibridazione è indesiderabile poiché mette in serio pericolo l’integrità genetica di specie minacciate come il lupo grigio.Andersone et al. (2002), hanno documentato l’ibridazione avvenuta tra popolazioni di cani e di lupi in Lettonia, attraverso l’utilizzo del DNA mitocondriale e di marcatori microsatellite. Risulta intuitiva la necessità della perfetta conoscenza della frequenza di ibridazione, importante per la conservazione della specie Lupusin natura e per i piani di gestione dei cani selvatici. Le analisi di genetica molecolare effettuate su 31 campioni di lupo nel periodo 1997-1999 in parte provenienti da cuccioli trovati nel nord della Lettonia nel marzo del 1999 ed in parte da lupi con tratti morfologici ibridi, hanno suggerito che, l’evenienza degli incroci è avverabile e non remota. Analogamente in Italia l’ibridazione con cani domestici può cambiare il carattere dei lupi grigi, spingendoli verso i centri abitati in cerca di alimanti, in conseguenza dell’assenza di prede naturali. Anche il lupo d’Abissinia è minacciato dall’ibridazione dei selvatici con cani domestici.

SVILUPPI FUTURI
Le analisi di genetica molecolare possono essere un potente mezzo per la determinazione dei cambiamenti che possono indurre le ibridazioni. In futuro la ricerca genetica di popolazione, dovrà concentrare gli sforzi verso l’analisi dei geni polimorfici, che servirà ad integrare i dati ottenuti dall’analisi dei DNA mitocrondriali.Ibridazione, frammentazione, scomparsa degli habitat prevenzione e trasmissione di alcune patologie sono oggi tematiche di grande rilievo, poichè possono minare irrimediabilmente l’esito dei piani per la conservazione della diversità genetica dei Canidi selvatici.